L’ albero ha parlato

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DCF 1.0

L’ALBERO IN … DIECI ANNI: le ragioni di un anniversario

Sono dunque dieci anni che il Teatro dell’Albero festeggia nel 2012. È un momento importante? Domanda facile per noi e la risposta non può che essere sì. Ma per noi appunto…

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E poi che cos’è il Teatro dell’Albero?
Tante cose, verrebbe da rispondere: innanzitutto il ficus nitida retusa che vive nella sala Beckett e poi la sala stessa concepita per entrare nella scena dove il teatro accade. Ma ancora, noi che in questo ambiente andiamo alla ricerca della nostra volontà e della passione, ma soprattutto voi, gli spettatori, che seduti sulle gradinate date vita al ripetersi di una magia: la finzione che scava nella realtà più profonda dell’essere umano…

Noi però non abbiamo parole sufficienti per celebrare questo decennale: le abbiamo cercate, ma ci apparivano inadeguate o tronfie e, infine, non ci è parso giusto parlare di noi stessi. L’unica strada che ci è rimasta è allora quella di far parlare il teatro stesso, il nostro teatro perché, in effetti, nelle lunghe sere solitarie che seguono una rappresentazione, a luci spente, avvicinando l’orecchio alla porta si possono ascoltare delle storie narrate a più voci. Talvolta sembra il semplice ripetersi delle rappresentazioni, qualche altra volta, invece la cosa si fa più intrigante.
È una di queste altre volte che abbiamo trascritto e che vi proponiamo.

La notte è di luna piena, attraverso le finestre rimaste aperte, si vede l’oscillare dei rami del carrubo che sta vicino all’ingresso della sala.
Ficus: “Guardate quel carrubo, sembra quasi voglia entrare. Pensate, è arrivato insieme a me solo che lui è più giovane.”
Sala Beckett: “Giovane? E tu quanti anni avrai mai?!”
Ficus: “Eh, gli ottanta li ho compiuti quando mi hanno portato qui, oggi sono novanta suonati, cara mia. Sono vecchio persino più delle pareti originali di questo edificio che di anni ne ha poco più di cinquanta.”
Sedia della prima fila (a nome di tutte): “Ehi, vecchietto, pensavamo che ci fossi sempre stato qui dentro, anche perché ci sembri un po’ ingombrante e legnoso per poter entrare”.
Ficus: “Spiritose! Quando sono arrivato, voi non c’eravate ancora. Ero a Roma, prima, mi hanno fatto viaggiare fin qui su un camion. Tra l’altro è stata un’esperienza incredibile, ai limiti della follia con tutte quelle macchine e le gallerie, poi… uno smog che soffoca, hai voglia tu di produrre ossigeno per questi pazzi. Comunque sono arrivato e mi hanno fatto passare per i finestroni che mi circondano. Non c’erano ancora i vetri, ovvio, ma mi sono dovuto strizzare ben bene. Una fatica!”
Sedia della prima fila: “E sai che fatica, povero vecchio”.
Sala Beckett: “Ma senti queste sfacciate. E pensare che, all’inizio, non dovevano neppure esserci. L’idea era quella di far sedere la gente sull’ardesia.”
Ficus: “È vero, quel particolare individuo che ha voluto questa sala forse pensava che il teatro deve essere sofferenza.”
Sala Beckett: “Già, un genio! Poi comunque lo hanno convinto che non si sarebbe rovinata nessuna estetica, se si poteva stare un po’ più comodi”.
Sedia della prima fila: “Vedete, allora, anche se buone ultime, siamo di fatto le più comode ed importanti!”
Sala Beckett: “Ma tacete, la sento io la gente che dopo una mezz’oretta della vostra comodità comincia a non sapere più come posarsi. Comode, dice lei, dovrebbero legarvi sopra quel bel tomo che vi ha messe. Per fortuna il teatro, qui, non si dilunga mai, se no…”
Americana: “Certo che siete dei veri pettegoli tra tutti. In fondo questo luogo è importante. Ho sentito tante volte la storia della sua nascita e dei motivi che l’hanno sostenuta. A me è sempre parsa una bella storia.”
Ficus: “ Si, questo è vero. Lo posso ben dire io che affondo le mie radici ormai confuse con quelle del carrubo, fin dentro il torrente, qui vicino.”
Pareti originali: “Che ne sapete, voi? Siete venuti tutti dopo. Lo ricordiamo ben noi. Qui, in questo stesso spazio, nel settembre del 1998, l’acqua del torrente San Lorenzo raggiunse l’altezza di 4 metri e 75 cm.”
Americana: “Cosa c’era qui, prima?”
Pareti originali: “Una palestra, al pian terreno, una scalinata proprio nella zona in cui oggi hai messo le tue radici; al primo piano, l’ufficio vigili. Più verso l’interno le classi della scuola elementare.”
Sala Beckett: “Tutto distrutto?”
Pareti originali: “Un paese distrutto, allora. E sembrava che anche le speranze si fossero infangate, né che fosse più possibile pulirle.”
Sedia della prima fila: “E cosa accadde allora?”
Pareti originali: “Accadde che un paese intero si rimboccò le maniche e che si disegnò, in quel periodo un possibile e diverso modo di vivere tra le persone e le cose.”
Ficus: “Un piccolo miracolo, insomma. E come finì?”
Sala Beckett: “Finì, qui, in questa sala e finì o forse è meglio dire ricominciò a partire proprio da te. Perché credi, se no, che mi avrebbero chiamato con il nome di Samuel Beckett?”
Americana: “Aspettando Godot! Fu il primo spettacolo, è vero; l’occasione in cui io stessa venni provata per la prima volta.”
Pareti originali: “Quando ancora qui era tutto un fervere di lavori e stava, in una confusione tremenda nascendo questa sala, vennero un po’ di persone e tutte assieme cominciarono a sognare l’avvenire che si nascondeva tra calcinacci e polvere. Una frase ci restò impressa: “Non so dove sia Godot, ma se lo aspetto qui, di sicuro prima o poi passa, perché questa è la sua casa.”
Ficus: “Vero, la ricordo anch’io. Era mi pare di Umberto Airaudi, il primo regista del teatro. Eh, quanti ricordi…”
Sala Beckett: “Oh sì! Ricordi di dieci anni. Quanti attori famosi hanno calcato questa scena, quanti giovani che poi famosi lo sarebbero diventati, sono passati di qui. E che qualità! Interpretazioni che hanno spesso riempito tutto lo spazio qui dentro: gli spettatori avvinti all’attore, l’aria vibrante di mani che battevano. Sì, dieci anni di crescita esponenziale, dieci anni memorabili.”
Sedia della prima fila: “In quanto a questo è stato un periodo lungo di passioni, emozioni, fatica, entusiasmo, liti, a volte.”
Americana: “A proposito dell’incredibile impastarsi di sentimenti e passioni che qui dentro s’è mischiato, non posso non pensare alla compagnia di attori che qui, di fatto, vive. Se non c’erano loro ben difficilmente tutto questo avrebbe avuto un senso.”
Pareti originali: “Erano proprio loro a circolare qui quando c’erano solo calcinacci. Non so Godot, ma loro certo sembravano averla trovata una casa definitiva, dopo un lungo peregrinare.”
Sala Beckett: “Già, senza Franco, Nicoletta, Paolo, Loredana, Anselmo, sarebbe mancato un ingrediente fondamentale per far scattare la magia.”
Americana: “Se è per questo come dimenticare le splendide scenografie di Carlo? La pazienza e l’acume di Sandro?”
Sala Beckett: “Certo! e sarebbero ancora molti i nomi da fare in questo decennale, da Sergio che poi ha scelto altri lidi a Sandra, che ha lasciato letteralmente sull’impiantito le proprie ossa.
Ma se tutti non li possiamo nominare, tutti rimangono vivi nel nostro ricordo e anche nella nostra attualità. Solo permettetemi di nominare quella che è stata la nostra vera madrina: Cloris la cui sensibilità e bravura sono stati – per tutti questi anni – un costante riferimento.
Ficus: “E, a proposito, Godot, è poi arrivato?”
Pareti originali: “Forse quando Emanuele Luzzati ha dedicato una sua opera a questa sala. Ricordo le sue parole: “Qui a San Lorenzo abbiamo una tipologia nuova: il teatro con l’albero. Ho trovato molto interessante e poetica questa “soluzione”. L’albero vive il teatro come scenografia e come attore silente. Chissà quante cose avrà da raccontare…”
Sala Beckett: “Credo che l’iniziatore di tutto questo avesse in animo di unire un paese dandogli la possibilità di specchiarsi, ogni tanto, nel teatro. Ma pessimista com’è ha temuto fin dall’inizio di dover aspettare Godot, che come noto, ha la proprietà di non giungere mai. In questo forse, per il paese, è stato fin troppo profeta; a ben vedere, però, un Godot qui è arrivato davvero: il Pubblico del teatro, che da anni sostiene questa scommessa e che è stato il vero artefice di quanto è stato fatto.”
Ficus: “Buon compleanno allora e arrivederci al prossimo decennale!”
Tutti: “Buon Compleanno.”

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